DPI e mascherine: come funziona la protezione delle vie respiratorie dal contagio da Covid-19

Un approccio critico e analitico ai dispositivi di protezione da usare in emergenza pandemia per la sicurezza sul lavoro e non solo

Ancora prima della data di ufficializzazione della presenza di casi di contagio esteso di COVID-19 in Italia, chi scrive si era occupato – e lo sta ancora facendo – di diffondere informazioni riguardanti la protezione delle vie respiratorie dalla trasmissione del nuovo coronavirus. In quest’ultimo mese, molto altro è stato scritto, detto e diffuso in materia da fonti più o meno autorevoli a proposito di DPI e mascherine.

Purtroppo, anche a causa di alcune inesattezze contenute nelle informazioni a volte rilasciate, ancora per molti non è chiaro quando debba essere indossato l’uno o l’altro presidio, quali sono i loro limiti di utilizzo e altre indicazioni che, se mal applicate, possono pregiudicare in modo rilevante l’efficacia dei dispositivi.

Va detto con chiarezza che l’argomento è complesso, non tutte le domande trovano semplici risposte e, soprattutto, ci sono sfumature e sfaccettature che devono essere valutate caso per caso, così come ci sono questioni ancora aperte nei confronti delle quali non abbiamo risposte certe.

Questa premessa è essenziale per consentire al lettore di interpretare col giusto approccio critico il presente contributo che non ha alcuna pretesa di esaustività, data l’estensione dell’argomento, ma solo di correttezza rispetto ai contenuti. In modo che il lettore possa ricercare, anche altrove, di approfondire gli argomenti trattati, invitandolo a basarsi sempre e solo su fonti autorevoli (principalmente studi scientifici e informazioni aggiornate provenienti da siti istituzionali o di riconosciuta reputazione scientifica).

Breve descrizione dei presidi: mascherine chirurgiche e facciali filtranti

La prima distinzione da fare è tra le cosiddette “mascherine chirurgiche” e i “facciali filtranti”. Tanto è già stato detto sulla differenza tra i due e, presumibilmente, questa informazione è ormai nota ai più, nonché facilmente reperibile, per cui la tratteremo solo nelle sue linee essenziali.

Le “mascherine chirurgiche” sono “presidi ad uso medico”, prodotti conformemente alla norma EN 14683 e hanno come funzione essenziale quella di proteggere il paziente dalla contaminazione che può provenire dalla vociferazione e, in genere, dall’emissione di gocce di saliva emesse dall’operatore che le indossa. Il materiale di cui sono costituite è, a tutti gli effetti, un filtro alla penetrazione dei microrganismi, ma l’assenza di una specifica capacità di aderenza al volto non impedisce che il contaminante possa raggiungere le vie respiratorie del portatore attraverso gli spazi liberi lasciati tra il bordo della maschera e il viso.

I “facciali filtranti” (benché, quelle a cui comunemente ci si riferisce sono “semimaschere facciali”) sono prodotti conformemente alla norma EN 149 e appartengono alla categoria dei “Dispositivi di Protezione Individuali” (N.B.: esistono anche maschere con filtro intercambiabile, prodotto conformemente alla norma tecnica EN 143), sono quasi interamente costituite da un materiale filtrante e possono possedere o meno una valvola di espirazione.

La loro funzione è quella di proteggere le vie respiratorie del portatore dagli agenti esterni: aerosol solidi o liquidi e si distinguono in tre classi, in ordine di protezione crescente: FFP1, FFP2 e FFP3. Non proteggono da gas e vapori e, ai fini della protezione da microrganismi, possono essere considerate idonee solo le semimaschere FFP2 e FFP3 (o i filtri P2 e P3).

Vale la pena segnalare l’esistenza in commercio di dispositivi certificati contemporaneamente EN 14683 e EN 149: questi offrono la sicurezza della protezione sia per il portatore che per il paziente ma, specie in questo frangente, sono ancora di più difficile reperibilità.

Al di là delle specifiche tecniche dell’uno o dell’altro presidio, del quale, ove necessario, si darà conto nel prosieguo, molto prosaicamente ciò che oggi è rilevante sapere è quando è necessario impiegare l’uno o l’altro. Ed è qui che la casistica è talmente ampia da dover ricorrere alle generalizzazioni, col rischio di semplificare oltremodo la questione.

Misure in emergenza: mascherine chirurgiche come DPI per le vie respiratorie

Occorre fare una precisazione molto importante: per tutta la durata dell’emergenza, le disposizioni contenute nel D.L. n. 18/2020 – cosiddetto “Cura Italia” – consentono di equiparare le mascherine chirurgiche ai DPI per le vie respiratorie, al posto dei quali possono essere impiegate all’interno dei luoghi di lavoro.

Questa decisione, pur certamente estrema ed emergenziale, è un’ovvia conseguenza della mancanza di disponibilità di semimaschere filtranti sul mercato. E trova i suoi fondamenti in una serie di studi scientifici[1]nei quali si rileva l’assenza di una significativa differenza in termini di esposizione al virus dell’influenza tra gli operatori sanitari che indossano una maschera di classe N95[2]o una maschera chirurgica[3].

L’equiparazione tra mascherine chirurgiche e DPI per le vie respiratorie non è la sola “forzatura” a cui siamo costretti per fronteggiare l’epidemia, giacché anche la stessa produzione e messa in commercio di entrambi i dispositivi ha subito una temporanea deroga (art. 15 del D.L. n. 18/2020). In ragione che si tratti di un presidio medico o un DPI, un produttore o un importatore può oggi immetterli sul mercato dietro l’autocertificazione della loro idoneità e l’invio all’Istituto Superiore di Sanità o all’INAIL della documentazione che possa attestarla.

Obbligo di DPI nei luoghi di lavoro

Ciò detto e, ai soli fini di protezione dal contagio dal virus SARS-COV-2, essendo primaria la misura del distanziamento sociale di 1 m, nei luoghi di lavoro l’obbligo di indossare il DPI residua nei soli casi in cui tale distanza minima non possa oggettivamente essere mantenuta. Trattandosi di DPI – che siano mascherine o facciali filtranti – la loro funzione è e resta quella della prevenzione dai rischi residui che permangono solo dopo che altre misure di protezione collettiva (distanziamento sociale) non sono attuabili o sufficienti.

La protezione offerta dalle mascherine chirurgiche e della maschera FFP2 e FFP3

Come su accennato, le mascherine chirurgiche non hanno uno specifico requisito di protezione per il portatore, ma il materiale di cui sono costituite offre una efficienza di filtrazione di almeno il 95% alla penetrazione di batteri. Come già detto, tuttavia, questo riguarda il solo filtro e nulla si può dire circa l’efficienza operativa. E il valore precedente, pur se elevato, non è assolutamente significativo della protezione reale offerta. Vale la pena tuttavia citare alcuni studi in laboratorio che mostrano una protezione complessiva “reale” che arriva anche al 90% (in altri si arriva, al minimo, all’80%) e che spiegano anche alcune performances di cui daremo conto tra breve.

Al contrario, almeno per quanto concerne il portatore, per definizione, una maschera FFP2 deve avere una perdita di tenuta totale verso l’interno non superiore al 8% e la FFP3 non superiore al 2%. Questi valori, tuttavia sono garantiti solo se il respiratore è correttamente indossato, non porta baffi, barba, basette e viene mantenuto sul volto per tutta la durata dell’esposizione, costantemente e in posizione corretta. Sono condizioni più complesse di quello che sembra, tanto che il D.Lgs. n. 81/2008 prevede l’addestramento pratico per l’uso, indossamento compreso, di questi dispositivi.

Alcuni “esperti”, in questi giorni, hanno affermato che i facciali filtranti non siano idonei a trattenere il virus, in quanto questo, date le sue dimensioni – dell’ordine delle decine di nanometri – passerebbe attraverso le maglie del filtro. Questa affermazione ignora i reali meccanismi di funzionamento di questi dispositiviFmic che, al contrario, è stato testato in laboratorio essere efficaci anche con particelle del diametro di 0,007 micron, ben più piccole di un virus (persino le maschere chirurgiche hanno mostrato una buona capacità di filtrazione con particelle di queste dimensioni).

In generale, per mettersi il cuore in pace, basta osservare come questi presidi siano attualmente utilizzati in tutto il mondo con la finalità di proteggere il portatore dal contagio da coronavirus.

È tuttavia fondamentale ricordare che, anche con riferimento ai facciali filtranti FFP2 e FFP3, il rischio non può mai essere considerato nullo poiché, anche se usati in modo da massimizzare le loro prestazioni, questi dispositivi ammettono intrinsecamente una certa perdita di tenuta verso l’interno.

Obiettivo: tutelare altri dal rischio di infezione con i facciali FFP2 e FFP3

Il discorso cambia quando, al contrario, l’obiettivo è quello di tutelare altri dal rischio di infezione. In questi casi, il presidio idoneo, in quanto espressamente progettato e certificato a tal fine, sono le mascherine chirurgiche.

I facciali FFP2 e FFP3 non possiedono un espresso requisito in tal senso, a meno della presenza di una doppia certificazione, e ciò è vero, a maggior ragione, per quei dispositivi in possesso di una valvola di espirazione che ha proprio la funzione di consentire la fuoriuscita dell’espirato senza filtrazione, al fine di ridurre la resistenza espiratoria per il portatore e renderne agevole l’indossamento per lunghi periodi, nonché prolungare la durata stessa del DPI.

Questo è un problema di non poco conto ma meno impattante di quanto si possa pensare in prima battuta, per quanto è importante che ciascuno analizzi molto bene la propria, singola situazione.

La distanza di sicurezza e le FFP2 e FFP3

Occorre partire dal presupposto che se due o più lavoratori non possono mantenere la distanza di sicurezza di 1 m l’uno dall’altro, tutti loro, senza eccezioni, devono indossare i dispositivi di protezione individuale. In questa circostanza dunque, se tutti indossassero solo mascherine chirurgiche, queste impedirebbero che un eventuale contagiato possa diffondere il contagio.

All’inverso, se tutti indossassero solo FFP2 o FFP3, anche nel caso in cui dalla valvola di espirazione di uno di loro o dallo stesso DPI fosse emesso droplet infetto (vale la pena precisare che allo stato attuale non ci sono studi che confermino o smentiscano tale ipotesi), gli altri colleghi non potrebbero essere contagiati in quanto ciascuno portatore di un DPI. Evidentemente, per il lettore il caso più rilevante è quello in cui alcuni indossino mascherine chirurgiche e altri DPI.

I portatori di mascherine sarebbero così, potenzialmente, maggiormente esposti al contagio. Tuttavia, è la stessa equiparazione tra DPI e mascherine chirurgiche e, soprattutto, gli studi sottostanti, che ne affermano una buona capacità di protezione nel “mondo reale” che garantisce circa l’accettabilità del rischio. Si consideri anche che nel corso degli studi condotti, mentre l’operatore sanitario indossava una mascherina, il paziente non indossava alcuno “schermo” che impedisse la fuoriuscita di droplet[5], in questo caso tutti i lavoratori indossano una “barriera” che perlomeno, se non annulla, certamente riduce l’emissione.

Cosa succede se alcuni lavoratori non indossano né DPI, né mascherine chirurgiche?

E come comportarsi in quei casi in cui alcuni lavoratori non indossino né DPI, né mascherine chirurgiche? Questa situazione, semplicemente non può essere contemplata, poiché laddove non possa essere garantito il distanziamento sociale, deve essere garantita la protezione individuale. In alternativa e senza eccezioni, l’attività non può essere eseguita.

Operatori sanitari e soccorritori e uso dei DPI e mascherine

Ulteriori situazioni che possono generarsi sono quelle legate ad operatori sanitari o soccorritori in genere che devono prendersi cura di soggetti potenzialmente infetti. L’operatore deve seguire le indicazioni contenute nel documento allegato alla Circolare del 17 marzo 2020 del Ministero della Salute nel quale si dispone l’uso dei DPI (FFP2 o FFP3) solo nel caso di attività a elevato rischio di aerosolizzazione, mentre negli altri casi è previsto l’impiego della mascherina.

La mascherina, così, assicura anche il paziente sano dal rischio di contagio da parte di un operatore potenzialmente infetto. Molti si sono chiesti tuttavia se ci sia un rischio per il paziente sano laddove l’operatore sanitario indossasse, invece, una maschera con valvola di espirazione (per esempio nel caso di esecuzione di tamponi oro/rinofaringei). Premesso che la domanda ce la si dovrebbe porre anche nel caso di dispositivi FFP2 o FFP3 senza valvola, giacché nemmeno questi sono certificati ai sensi della norma EN 14683, in questi casi l’operatore, nel dubbio, potrebbe indossare una mascherina chirurgica sopra la semimaschera filtrante.

E per chi lavoratore non è? DPI e mascherine…E comuni cittadini

Per i comuni cittadini occorre ricordare che il Ministero della Salute, conformemente alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, prevede che le mascherine debbano essere indossate solo:

  • se si è infetti;
  • se si deve assistere a distanza ravvicinata una persona contagiata.

Queste indicazioni sono allineate alle evidenze scientifiche e hanno anche la funzione di razionalizzare la disponibilità sul mercato delle mascherine.

Ma occorre anche aggiungere altro.

DPI e mascherine: istruzioni per l’uso

Nonostante l’uso dei DPI e delle mascherine sia in apparenza semplice e intuibile, così non è. Non a caso, vale la pena ribadirlo, il D.Lgs. n. 81/2008 prevede l’addestramento per le semimaschere filtranti.

Il rischio è quello di indossarle male: abbiamo visto tutti, in televisione o per strada, persone e persino rappresentanti delle istituzioni che indossavano la mascherina sulla bocca lasciando scoperto il naso, vanificando la protezione offerta.

Ma c’è anche il rischio di contaminarsi per contatto, toccandole e poi, ad esempio, stropicciandosi gli occhi o, persino, di usarle per tempi indefiniti, a causa soprattutto della loro indisponibilità.

Inoltre, come avrà avuto modo di verificare chiunque in questi giorni sia andato a fare la spesa al supermercato, i portatori di mascherina hanno la tendenza a pensare di non essere in grado di trasmettere il contagio, con ciò non rispettando la distanza sociale. Essi, inoltre, tendono ad abbassare il livello di attenzione col rischio di contagiare sé stessi con comportamenti a rischio.

Questi e altri motivi – estremamente sottovalutati – devono indurre il cittadino a ricordarsi che le prime, fondamentali e principali forme di tutela per sé e per gli altri sono:

  • il distanziamento sociale;
  • il lavaggio delle mani.

Dato che c’è l’obbligo di osservare entrambe tali misure, la protezione individuale deve essere intesa come una misura di prevenzione ulteriore, ma non strettamente necessaria allo stato attuale delle evidenze scientifiche.

Ciò detto e senza contraddire quanto appena espresso, l’impiego delle mascherine potrà diventare una formidabile forma di contrasto della diffusione quando saranno disponibili per tutti. Ma qui vale la pena parlare anche di un argomento controverso.

Le mascherine “fatte in casa”

Lo stesso Decreto “cura Italia” consente la produzione di mascherine prive di marchio CE (art. 16, comma 2) e il loro utilizzo da parte di tutti gli individui presenti sull’intero territorio nazionale. Occorre premettere che, con questa disposizione, chi scrive ritiene che non si sia incitato chiunque a farsi in casa le proprie mascherine, utilizzando qualunque cosa gli passi per le mani. Questo per due motivi:

  1. La norma si riferisce alla produzione di queste mascherine “in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio” cosa che evidentemente non riguarda il singolo cittadino che decida di mettersi una sciarpa in faccia;
  2. Non ci sono norme che impediscano – e pertanto non c’è bisogno di un’autorizzazione in tal senso – al singolo cittadino di andare in giro vestito da “allegro chirurgo” con una mascherina fatta con carta da forno. La norma in questione non lo riguarda.

Lo scopo della norma è quello di consentire la produzione su larga scala di questi “presidi” e la loro distribuzione sul mercato, senza che queste “mascherine” si configurino come DPI o mascherine chirurgiche. E quindi quale sarebbe la loro utilità?

In teoria nessuna. In pratica, non è proprio così, anzi.

Mascherine fatte in casa o schermi a forma di mascherina: hanno una loro utilità?

Osservando il fenomeno sociale da vicino, vediamo che un ragguardevole numero di persone hanno iniziato a costruirsi in casa “mascherine” di materiale vario. Chi non l’ha fatto, spesso andava in giro con il colletto della maglietta davanti a naso e bocca o con una sciarpa attorno al volto. La finalità di costoro era quella di proteggere sé stessi, evidentemente. Era semplicemente la finalità sbagliata.

Uno studio[6] scientifico ha analizzato vari materiali, confrontandoli con una mascherina chirurgica ed eseguendo anche vari test con portatori, dimostrando una bassa capacità di protezione del portatore di mascherine fatte in casa, ma una certa efficacia di queste nell’impedire la diffusione di droplet.

Quindi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle norme igieniche e di distanziamento sociale, questi “schermi a forma di mascherina” che potrebbero essere distribuiti e/o immessi in commercio, possono essere utili nel ridurre ulteriormente il rischio di contagio.

Attenzione: in nessun caso questi mezzi possono essere impiegati sui luoghi di lavoro ove è necessario l’impiego di un dispositivo di protezione individuale.

Riutilizzo e utilizzo prolungato dei presidi: è possibile la disinfezione di un facciale filtrante?

È un altro argomento sul quale sono state dette/scritte indicazioni spesso non suffragate da evidenza scientifica.

La norma EN 149 prevede che i facciali filtranti FFP2 o FFP3 accompagnati dalla dicitura NR possano essere utilizzati “per un singolo turno di lavoro”. Trattasi di un’indicazione generale che deve essere contestualizzata in ragione del rischio in questione.

Vari studi dimostrano che “nel mondo reale”, il rischio di intasamento del filtro in ambienti nei quali non sono presenti altri agenti inquinanti è irrisorio[7][8].

Il problema è che il filtro è da intendersi contaminato e, pertanto, nell’indossamento o in altre circostanze potrebbe infettare il portatore, laddove questi decidesse di riutilizzare il dispositivo.

È circolato in rete un documento (ad uso interno di uno Stabilimento Farmaceutico Militare. Dunque, non destinato alla pubblica diffusione) che fornisce una procedura che consentirebbe di sanitizzare un facciale filtrante. L’ANSA – con proprio video – ha ulteriormente diffuso dal proprio sito web questa procedura basata sull’impiego di soluzione idroalcolica al 70%. Peccato che nelle note allegate al documento, non sia riportato alcuno studio scientifico che dimostri l’idoneità della suddetta procedura.

Esistono vari studi, al contrario, che hanno dimostrato che autoclavaggio, calore secco a 160°C, disinfezione con alcol isopropilico al 70%, acqua e sapone per 20 minuti, ossido di etilene, nebulizzazione con perossido di idrogeno, microonde siano metodi che comportano un considerevole degrado del materiale filtrante e/o del suo supporto.

Il sistema, tra quelli oggetto di studio, che attualmente presenta le maggiori possibilità di rappresentare una buona soluzione è l’impiego della luce ultravioletta, ma sono ancora necessari ulteriori approfondimenti in tal senso.

A valle di queste considerazioni, l’impiego dei DPI e delle maschere filtranti deve essere inteso “monouso”, mentre si può consigliare – fin dove possibile – l’uso prolungato dello stesso, a patto di non rimuoverlo mai dalle vie respiratorie alte.

Considerazioni finali: l’importanza delle procedure e dell’addestramento corretto, il fattore di overconfindence e misure di igiene

Molta importanza deve essere data al fornire procedure, istruzioni e addestramento corretto all’indossamento e all’uso dei DPI e delle mascherine, ma è fondamentale anche sensibilizzare le persone circa la loro importanza e informarli di quali siano i casi in sui questi dispositivi non sono necessari. Questo elemento deve essere tenuto bene in considerazione nelle comunicazioni che la Pubblica Autorità svolge nei confronti dei cittadini che, a parere di chi scrive, sono ben lungi da aver compreso i meccanismi di protezione dal virus e quali siano le priorità assolute tra le misure di prevenzione dal contagio.

In questo contributo non si sono fornite indicazioni su come debbano essere indossati o tolti i DPI e le mascherine perché si tratta di un argomento che, quando dovesse essere trattato, lo si dovrà fare con la massima chiarezza e, preferibilmente, accompagnando istruzioni scritte a voce parlata e a video (insomma, un articolo non va bene). Quello dell’indossamento e uso corretto del DPI/mascherina è un aspetto rilevante che non deve essere tralasciato ed è responsabilità di ciascuno di noi ribadirne l’importanza, per non ingenerare un fattore di overconfidence rispetto al rischio che finirebbe col produrre effetti collaterali importanti.

Sicuramente una cosa, però, vale la pena dirla: tutte le volte che ci si leva una mascherina/facciale occorre lavarsi le mani.

Tante altre cose non sono state trattate, ma si spera di aver offerto al lettore una panoramica comprensibile e che possa aiutarlo ad orientarsi, nel rispetto della complessità di un argomento di cui aver rispetto.

  • APIC Position Paper: Extending the Use and/or Reusing Respiratory Protection in Healthcare Settings During Disasters. 4.12.09
  • CDC (Center for Disease Control and Prevention, USA). (2020). Recommended guidance for extended use and limited reuse of N95 filtering facepiece respirators in healthcare
  • Su tutti: «Evaluation of Five Decontamination Methods for Filtering Facepiece Respirators», 2009 di Viscusi et altri
  • Testing the Efficacy of Homemade Masks: Would They Protect in an Influenza Pandemic?», 2013 di Anna Davies, BSc, Katy-Anne Thompson, BSc, Karthika Giri, BSc, George Kafatos, MSc, Jimmy Walker, PhD, and Allan Bennett, MSc
  • Per un approfondimento si veda qui dove, pur riferendosi a filtri HEPA, in generale si mostra quali siano, in generale, i meccanismi di filtrazione
  • Vale la pena precisare che nelle operazioni a elevato rischio di aerosolizzazione da parte di soggetto contagiato o presunto tale (es. intubazioni, endoscopie in genere), l’operatore deve rigorosamente indossare facciali filtranti FFP2 o FFP3
  • Tra gli altri, «N95 Respirators vs Medical Masks for Preventing Influenza Among Health Care Personnel» Lewis J. Radonovich Jr, MD; Michael S. Simberkoff, MD; Mary T. Bessesen, MD; et al., 3 settembre 2019)
  • N95 è la classe di protezione dei facciali filtranti secondo l’agenzia Statunitense National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH) ed equivale alle maschere europee FFP2 (la classe N99 corrisponde alla nostra FFP3 e KN95 e KN99 sono le analoghe denominazioni secondo lo standard cinese).

Interessante anche uno studio australiano nel quale è stata analizzata la trasmissione dell’influenza tra genitori che si prendevano cura dei figli contagiati. In questo caso era presente anche un “gruppo di controllo” di genitori che non indossavano protezioni. La differenza tra i genitori che si contagiavano nonostante indossassero o un dispositivo N95 o una maschera chirurgica era solo del 3%. «Face mask use and control of respiratory virus transmission in households» di Macintyre, Cauchemez et altri, 2009

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